

di Sabrina Sala
Categoria: Light Novel
Formato: 15x21, b/n, 216 pag. brossurato.
Genere: Romantico, Storico.
Categoria: Light Novel
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Genere: Romantico, Storico.
Disponibilità: solo 3 |
15,00 €
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«La Fortuna non ha padroni…» sorrise Ranieri, a fior di labbra.
«Solo abili o spregiudicati amanti.»
Nelle Langhe piemontesi del 1856, si intrecciano la vita e il destino della giovane e romantica Mina e dell’affascinante ma tenebroso Ranieri.
Riusciranno due anime tanto diverse tra loro a toccarsi fino a comprendersi, o saranno l’una il tormento e la rovina dell’altra?
Riusciranno due anime tanto diverse tra loro a toccarsi fino a comprendersi, o saranno l’una il tormento e la rovina dell’altra?
LEGGI L'ANTEPRIMA:
ESTRATTO DAL LIBRO (senza illustrazioni):
Capitolo 1 – Alterne fortune
Regno di Sardegna. Langhe Piemontesi. Luglio 1856
La carrozza procedeva sulla strada sterrata. Ogni buca, ogni sasso corrispondevano a un sobbalzo.
Un tuono squarciò il cielo e il silenzio.
L’uomo in cassetta trasalì, trattenendo i cavalli.
Quello nell’abitacolo, più giovane, non ne fu affatto turbato.
Amava la pioggia. Quella copiosa, temporalesca. E le tempeste di fulmini. Quelle di fine estate…
Inspirò. Aggrottò la fronte, spingendo lo sguardo all’esterno. In quel periodo dell’anno, le Langhe piemontesi erano al culmine della loro bellezza, cariche, mature. Esattamente come le ricordava.
Il cocchiere spronò i cavalli perché quella corsa terminasse il prima possibile. Nonostante la temperatura gradevole, la pioggia lo intirizziva, penetrandogli nelle ossa. Fortunatamente, la meta non era lontana. Sollevando lo sguardo, era infatti possibile scorgerla in cima alla collina. Ombra maestosa e oscura contro un cielo rischiarato a giorno.
***
Mina appoggiò il palmo di una mano alla finestra, come a voler interrompere o deviare il percorso delle gocce che si infrangevano sul vetro. L’aria calda di quella giornata si era fatta elettrica fino a esplodere in un temporale serale che con il suo roboante borbottio riempiva le orecchie e penetrava lo stomaco.
Sospirò, ma il fiato le si spezzò in gola, quando l’ennesima folgore illuminò a giorno il cortile.
Dalla propria camera al primo piano, intravide allora una carrozza imboccare rapidamente il cancello in fondo al viale.
“Ospiti?” pensò, sorpresa.
E non solo per il maltempo, che da solo sarebbe bastato a far desistere chiunque dal mettersi in strada, ma perché sarebbe stata una cosa insolita. Suo padre non amava intrattenersi con la gente. Men che meno ora che la sua salute era diventata tanto precaria da costringerlo a lunghe e solitarie giornate in salotto o, addirittura, a letto.
Che fosse Jacopo?
Quel pensiero la sollevò, cancellando l’ombra che le velava lo sguardo.
Afferrò le gonne, e con la stessa rapidità con la quale la carrozza raggiungeva la facciata principale della villa, la ragazza si precipitò giù per le scale.
Al piano inferiore, Alberto aveva già provveduto ad aprire la porta, dietro suggerimento di un discreto numero di colpi.
Una rapida occhiata d’intesa con il vecchio maggiordomo e Mina si fermò alle sue spalle. In attesa.
Una folata di aria umida e fresca si riversò nell’atrio, sfiorandole le guance accaldate. Inspirò.
Amava l’odore acre della pioggia d’estate…
Dalla carrozza emerse un’ombra.
Un’ombra alta e dritta come un fuso.
E quando l’ombra si rivelò per quello che era, un giovane uomo dalle spalle larghe e dal portamento elegante, Mina aggrottò per un attimo la fronte, mentre i suoi occhi cercavano, nel buio della sera, i lineamenti di quel volto marcato e sconosciuto.
Indifferente alla pioggia che continuava a cadere, l’uomo si fermò a contemplare l’imponente facciata della villa, ma quando i suoi occhi scorsero la giovane figura femminile alle spalle del maggiordomo, con un gesto secco ma elegante portò una mano al cappello e accennò un saluto.
Rapido, congedò il cocchiere che dopo aver scaricato un piccolo baule dalla vettura, invitò i cavalli a riprendere il cammino.
Il forestiero salì allora i pochi gradini che dal cortile portavano all’ingresso della casa e porse bastone e cappello al maggiordomo.
«Ranieri Cordero» disse.
E la sua voce, calda e profonda, lambì languidamente le orecchie di Mina, colmando nel contempo il grande atrio spartano e silenzioso.
«Guglielmina Giraudo», fu la risposta a quella laconica presentazione.
Un guizzo attraversò lo sguardo di Ranieri mentre, accennato un inchino, si esibiva nel più delicato e rituale dei baciamano.
Uno sguardo che Mina poteva finalmente vedere alla luce delle lampade. Due occhi grigi, impenetrabili, che si aprivano su un volto dalle fattezze forti e decisamente maschili, incorniciato da ciocche di capelli scuri, appena bagnati, che si rincorrevano sulla fronte e sul collo, in netto contrasto con la camicia bianca e il foulard candido.
Due occhi grigi, tanto diversi da quelli turchesi e placidi di Jacopo Bonfanti, che non smettevano di fissarla, mentre le labbra si avvicinavano appena al dorso della sua mano e un’originale fragranza le solleticava le narici. Un profumo avvolgente. Una fragranza acre, dolcemente amara. Un’originale sfumatura di tabacco e acqua di colonia.
«Mina…» mormorò Ranieri, e il suo fiato caldo solleticò quella pelle candida rubandole un fremito, mentre le labbra si allungavano in un sorriso compiaciuto e sorpreso.
Sollevandosi, il forestiero avvolse quella deliziosa figura in uno sguardo indecifrabile, percorrendola per intero, dall’orlo delle gonne color crema ai lunghi capelli scuri che lambivano la vita e i fianchi della giovane Giraudo, fino a cogliere il fremito dei suoi grandi occhi nocciola.
«Ci conosciamo?» domandò lei, in risposta alla sua confidenza. Più per dissimulare l’imbarazzo al cospetto di quello sguardo che per ottenere una risposa. Tutti, infatti, era soliti chiamarla in quel modo.
Ranieri infilò una mano sotto la giaccia, all’altezza del petto, e ne estrasse un foglio ripiegato con cura.
«Temo che conoscermi non sarà un piacere per voi come lo è stato per me…» disse porgendole il documento.
Mina lo dispiegò con cura. Scorse rapidamente la manciata di righe che conteneva e la firma che lo siglava.
Impallidì, serrando le labbra e sollevando sull’uomo uno sguardo cupo.
«Quindi siete il nuovo proprietario della villa», disse dopo un attimo di silenzio.
Ranieri sostenne il suo sguardo, cercando di decifrare le sfumature di quegli occhi nocciola. Annuì.
«Vostro…» iniziò, esitando abilmente nel finire la frase senza commettere azzardi.
«Padre.» intervenne lei, permettendogli di formulare la domanda per intero.
«Vostro padre vi ha raccontato..?» si interessò con delicatezza.
«Di aver perso la villa al gioco? Sì… » rispose lei, amareggiata. «Ma non che sareste arrivato tanto presto» aggiunse, stringendo le mani in grembo, visibilmente preoccupata. «Vogliate scusarmi…» continuò. « Ma non ero preparata ad accogliervi», concluse.
Ranieri accennò un sorriso misurato. Ben attento a non sembrare troppo insensibile o invadente.
«Aspettavate qualcun altro, temo…» disse, cambiando sapientemente discorso e incatenandola con lo sguardo.
«Speravo fosse un amico» si limitò a rispondere lei, a disagio. Stretta tra le spire di uno sguardo incantatore.
«E invece vi siete trovata dinnanzi un nemico…» ribatté lui, sottolineando con una smorfia l’ultima parola. «Spero che, nonostante la situazione, non vogliate ritenermi tale…»
Mina arrossì e Ranieri ne fu compiaciuto.
«Per rispondere alla vostra domanda rimasta in sospeso…» riprese cambiando ancora argomento. «No. Non vi conoscevo. Ma ho sentito pronunciare spesso il vostro nome durante l’intera partita» confidò. «Ad ogni modo, ho degli affari da sbrigare non lontano da qui» disse. «E ho pensato di fermarmi qualche giorno alla tenuta.»
La sogguardò, serio.
«Spero che questo non vi crei dei problemi…» domandò, abbassando leggermente le palpebre, a sollecitare una reazione e una risposta che non tardarono ad arrivare.
«Perdonatemi. Devo esservi sembrata oltremodo maleducata» si schermì lei, scuotendo leggermente il capo e facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri in un gesto naturale quanto delizioso.
«Non preoccupatevi, per questo. Comprendo il vostro disagio e tutto quanto possiate pensate di me… Ma i debiti di gioco vanno onorati, lo sapete. E vostro padre si è dimostrato un gentiluomo in tal senso» rispose Ranieri con una tranquillità disarmante.
Questa volta fu Mina a cambiare rapidamente discorso. Non amava soffermarsi sul vizio paterno. Un vizio che aveva inesorabilmente dilapidato il patrimonio di famiglia e che ora le aveva tolto l’ultima cosa che le rimaneva. La tenuta e tutto ciò che comprendeva.
«Accomodatevi, signor Cordero» disse, facendosi da parte perché l’uomo, rimasto fino a quel momento a ridosso della soglia, potesse finalmente avanzare e prendere visione e possesso di quanto ormai gli apparteneva.
E dopo aver dato disposizione ad Alberto perché il bagaglio dell’uomo fosse sistemato in una delle numerose stanze vuote al piano superiore, invitò Ranieri ad incontrare suo padre.
«Sono desolato per l’ora» si schermì lui. «Non era mia intenzione arrivare così tardi…»
Ancora una frase in sospeso. Quel modo tutto singolare di indurla a rispondere o parlare.
Mina accennò un sorriso. Il primo da quando si erano incontrati.
«Non preoccupatevi» disse. «Mio padre non si ritira mai troppo presto. Lo troveremo in biblioteca. Vorrete parlare con lui, immagino.»
Ranieri annuì e la seguì docilmente a un passo di distanza.
Nel silenzio che seguì, i suoi occhi grigi frugarono l’oscurità e ogni angolo. Ogni parete. Ogni oggetto che incontravano lungo il breve tragitto tra l’ingresso e la biblioteca.
Passando davanti a un vaso di fiori dai lunghi steli, ne scostò distrattamente le corolle, scoprendo una targa incisa su pietra.
«Sublimis…» mormorò a fior di labbra, passando le dita sull’incisione.
Mina si fermò, voltandosi.
«E’ latino» disse. «Racchiude il senso di questa tenuta. Noi la chiamiamo La Maestosa, sapete?» sorrise di nuovo, ricacciando indietro un pizzico di malinconia. «Quella targa si deve alla prima moglie di mio padre. Era una donna molto colta, dicono…»
Lo sguardo di Ranieri passò dall’incisione agli occhi nocciola della ragazza.
Un tuono sembrò sottolineare quel passaggio, strappandole un brivido. L’uomo se ne accorse e le si fece più vicino.
«Temete i temporali, signorina? » domandò con quella sua calda voce un po’ roca.
E per la seconda volta, Mina avvertì quella fragranza… Dolce e amaro, sorprendentemente insieme.
Socchiuse le palpebre e negò meccanicamente col capo.
«No» confermò. «Amo i temporali estivi…»
Si volse, riprendendo il cammino verso la biblioteca. La presenza di Ranieri alle sue spalle, resa ancora più concreta dal suono secco e deciso dei passi e da quel profumo inebriante, la turbava.
Si morse le labbra, aggrottando la fronte. E quando bussò alla porta del salotto, quel suono parve scuoterla finalmente dallo stato di torpore nel quale si era inaspettatamente venuta a trovare.
***
«Complimenti per la biblioteca!» affermò Ranieri alzandosi dalla sedia che aveva occupato fino a quel momento e appoggiando il bicchiere di vérmot sul piccolo tavolo di mogano scuro.
La chiacchierata con Arnaldo Giraudo, affossato in una logora poltrona, consumato dal tempo e dalla malattia, era stata noiosa. Una mera formalità.
L’aria stantia della stanza gli riempiva la gola, addolcita dalla bevanda liquorosa. Lasciar vagare lo sguardo sugli scaffali carichi di libri ravvivò dunque il suo spirito.
«Non ho alcun merito, in questo» rispose l’uomo, svogliatamente. «E’ opera della mia prima moglie» spiegò. «Era appassionata di letteratura e lingue morte» concluse con un tono che non lasciava adito a dubbi su quale fosse il suo pensiero in merito.
«Come il latino…» osservò Ranieri, sfiorando con la punta delle dita il dorso di un volume ormai sbiadito.
L’altro ridacchiò.
«Era ossessionata dal latino» disse. «Come da un sacco di altre cose…» continuò. «Ma era bella. E a una bella donna si perdona tutto! »
Ranieri corrugò appena la fronte.
«E l’attuale signora Giraudo? » domandò con gentilezza, abbassando leggermente il tono della voce. «La madre di vostra figlia?»
«Miranda?», Arnaldo sollevò un sopracciglio. «Una sciocca!» affermò, «Morì di parto» concluse, senza la minima intonazione, in una voce aspra e priva di emozioni.
Ranieri allacciò le mani dietro la schiena, indugiando con lo sguardo sulla libreria prima di voltarsi verso il proprio interlocutore.
«Mi dispiace… Non volevo rattristarvi con questi ricordi» disse.
«Non rammaricatevi. Sono solo chiacchiere… nessuna sofferenza» lo rassicurò questi con un gesto della mano scarna, come a scacciare una serie di fastidiose sciocchezze, mentre le labbra sottili si tiravano in un sorriso sprezzante.
«Non ho rimpianti o nostalgie» continuò, sollevando il proprio bicchiere e guardando il mondo attraverso il liquido ambrato.
«Ho avuto una vita piena. Ho ottenuto e fatto tutto quello che desideravo» ridacchiò in un colpo di tosse.
«Non crediate che sia dispiaciuto a lasciarvi la tenuta e tutto quello che la riguarda. Ormai sono vecchio e malato… E non ho più un soldo per poterla mantenere» confessò. «Se non fosse per Mina, vi avrei già lasciato le chiavi…» buttò giù il vérmot d’un fiato.
Poi, passandosi il dorso della mano sulle labbra, sorrise guardando il proprio ospite di sottecchi.
«A quella ragazza non resta niente, a questo punto» sogghignò.
Ma a Ranieri, abituato ad ascoltare, non sfuggì la prima sfumatura di rimpianto in quella voce stonata.
Anche il vecchio Arnaldo aveva un punto debole, dunque…
«A vostra figlia non mancheranno di certo i pretendenti…» disse tornando a sedersi e allacciando le dita sotto al mento.
Arnaldo scoppiò in una risata amara.
«Mia figlia è una sciocca romantica! » proruppe. «Esattamente come sua madre e neppure l’ha conosciuta! Dio solo sa quanto io tenga a lei… Ma guarda il mondo attraverso quegli occhi ingenui e incantati» lasciò andare il bicchiere sul tavolo. «Avrebbe già potuto sistemarsi, se non avesse rifiutato ogni spasimante in attesa del grande amore» borbottò e detto questo, fece forza sulle braccia scarne, sporgendosi verso il giovane Cordero.
«Converrete con me che il matrimonio è solo un affare…» disse con tono complice. Poi si lasciò andare di nuovo contro lo schienale e allargando un braccio indicò la biblioteca ma, più in generale, la tenuta.
«Guardate me! Questa tenuta, le vigne e i noccioleti, e anche Mina… E tutto frutto dei miei affari» rise.
«Voi mi comprendete! » continuò Arnaldo. «Perché siete un uomo… E siete un giocatore» gracchiò, poggiando amichevolmente una mano sul ginocchio del proprio ospite.
Ranieri serrò le labbra e i suoi occhi grigi assunsero una velatura più scura. Si alzò, si versò da bere e si portò all’altezza del camino.
Lentamente avvicinò il bicchiere alle labbra, inspirando a occhi socchiusi il profumo di quel vino liquoroso e speziato. Un toccasana, in quell’ambiente dall’aria malata. E prima che il suo sguardo tornasse a incrociare quello del suo interlocutore, un bussare lieve alla porta precedette l’apparizione della giovane Mina che si era ritirata subito dopo aver introdotto l’ospite in biblioteca.
«Perdonate l’interruzione» si scusò entrando, lo sguardo rispettosamente abbassato. «Volevo solo avvisare il nostro ospite che la sua camera è pronta» disse. E fu allora che i suoi occhi, alzandosi, colsero la figura di Ranieri, distrattamente appoggiata alla mensola del camino. L’uomo, in maniche di camicia e gilet, le rivolse un sorriso.
«Se vostro padre mi permette…» disse rivolgendo un’occhiata ad Arnaldo, «A questo punto sarei lieto di ritirarmi».
Con un gesto della mano, l’uomo lo congedò.
«Siete il padrone, qui» sottolineò, «Non dovete chiedermi il permesso» concluse con un risolino grottesco.
Con una smorfia di irritazione, Mina accennò a lasciare la stanza, ma la voce fonda di Ranieri la fermò sulla soglia.
«Aspettate, vi prego…» disse appoggiando sul tavolo il bicchiere ancora mezzo pieno. «Sareste così gentile da indicarmi la mia stanza? »
***
Appoggiata al corrimano, Mina precedeva Ranieri su per la grande scala che dall’atrio li avrebbe condotti al piano superiore.
Camminava il silenzio. Una mano a sollevare le gonne. L’altra che scorreva lieve sulla balaustra.
«Non siate turbata.»
La voce di Ranieri sembrò echeggiare nell’ombra.
Mina si arrestò. Volgendosi a cercarlo e trovandolo un paio di gradini subito sotto di lei.
«E’ la mia presenza a infastidirvi? » le domandò cogliendo il suo lieve sussulto. Gli occhi grigi in quelli castani della ragazza.
Avvinta in quello sguardo, Mina batté le palpebre una volta di troppo. Avvampò.
«Avete visto mio padre» disse, cercando una via di fuga che le permettesse di rispondere a quella domanda senza ammettere l’effettivo turbamento che Ranieri aveva portato nella sua anima.
«Non so cosa faremo, una volta lasciata questa casa».
Ranieri la contemplò in silenzio, solo per un attimo.
«Vostro padre ha rischiato e ha perso» disse pacatamente. «Non fategliene un torto maggiore di quello che è. La Fortuna è come una bella donna…» aggiunse, facendo scivolare la mano calda su quella minuta e fredda della ragazza e smorzando sul nascere, con delicatezza, il suo primo impulso a divincolarsi.
«Non ha padroni…» continuò. «Solo abili o spregiudicati amanti» sorrise, dissimulando il proprio compiacimento nel cogliere, anche nella penombra, il lieve rossore esploso sulle guance della ragazza.
«Per dimostrarvi tutte le mie buone intenzioni, sappiate che non vi costringerò a lasciare questa casa fino a quando non vi sentirete pronti a farlo» affermò, aumentando appena la pressione della propria mano su quella di lei.
Mina dilatò lo sguardo, incredula, poi aggrottò leggermente la fronte mentre Ranieri, avvicinando le labbra al suo orecchio sinistro, quasi ne sfiorò il lobo sussurrandole pacatamente «Fermatevi fino a quando lo riterrete opportuno…»
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