La trilogia di Asia - EF edizioni

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La trilogia di Asia
di Sonia Cardini

Set di 3 libri
Genere: Romanzo Erotico
Target: Per adulti
15,00 € 29,00 €
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  • Io non sono qui
  • Ossessione
  • Io che so perderti

Asia è una giovane ex modella che vive a Milano.
La storia, vista attraverso i suoi occhi, si snoda tra cene galanti, abiti di lusso e belle donne. Donne che Asia ama a modo suo, passionale e irruento. La sua vita sessuale (che una volta si sarebbe chiamata saffica) è raccontata in modo esplicito e crudo senza essere volgare, e sottolinea il carattere dei vari personaggi che si presentano nella storia.
La vita di Asia è segnata dall'incontro con Angela che metterà a repentaglio ogni cosa, rendendola partecipe di un mondo sessuale e trasgressivo dal quale Asia faticherà a uscire ma, dopo un periodo di incertezze, decide di chiudere col passato, riprendendo la propria quotidianità.
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LA SERIE:
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ESTRATTO DAL LIBRO:

-Ti odio, Milano. -
Me lo ripeto da giorni ma non fa nessuna differenza. Sto tornando in città per riprendere quel pezzo di vita che ho lasciato e, nella trasparenza, lascio individuare solo disgusto e rancore.
L’ascensore sta salendo al terzo piano del mio appartamento.
Per un lungo e interminabile attimo avverto un senso di estraneità ma appena le porte si aprono tutto ritorna nella mente come se qualcuno mi avesse dato un calcio nel sedere.
La donna delle pulizie posa i bagagli di fronte all’ingresso:
-Bentornata Asia. Spero che il viaggio sia andato bene. -
-Sono molto stanca, ho bisogno di riposare. -
-Vuole che le prepari un tè? -
-No, ci vediamo la prossima settimana. Grazie ancora, Maria. -
Entro in casa e ritrovo tutto come avevo lasciato; lunghe veneziane chiare ricoprono i vetri nascondendo il sole che cerca di filtrare attraverso. La cucina è tirata a lucido e anche il soggiorno è impeccabile. Avevo dimenticato questi particolari, credo di aver dimenticato tante cose.
Il cellulare vibra nella tasca e incuriosita afferro l’apparecchio; un messaggio di Vicky, l’attuale ragazza che frequento.
Dove sei? Mi manchi.
Automaticamente la linea del telefono fisso suona, mi sposto in soggiorno e guardo il ricevitore: numero privato. Decido di non rispondere e dopo diversi squilli torna muto.
Mi guardo attorno, qualcosa è cambiato in questi ultimi due mesi, durante la mia assenza all’estero.
Apro le finestre e osservo giù in strada.
-Sono di nuovo qui. - dico a me stessa con voce alta.
Il telefono squilla di nuovo e rispondo. È tardo pomeriggio.
-Pronto? -
-Ciao, come stai? - è la voce inconfondibile di Vicky.
-Oh… direi bene, tu? -
-Non c’è male. Quindi sei tornata da Miami, ma per quanto tempo? -
-Non lo so ancora, Vicky. Mi sento stanca…. -
-Ci vediamo? - insiste.
-Parliamo faccia a faccia, ok? Domani sera. -
Chiudo la chiamata.
C’è qualcosa nell’aria, sul tavolo dove sta il computer, di fronte la cucina e il divano. Sento addosso il jet lag e ho bisogno di riposare, l’indomani dovrò riprendere il lavoro e immagino non sarà semplice.

La sveglia delle sette mi sveglia di colpo.
Allungo la mano e schiaccio il tasto per spegnerla mentre mi ributto giù.
Sospiro sfregandomi la faccia, ho un leggero mal di testa e il Valium che ho preso ieri sera non ha fatto granché. Mi alzo dal letto trascinandomi in bagno con indosso solo una canotta e gli slip.
Ricordo che in serata ho l’appuntamento con Vicky e sinceramente adesso non voglio pensarci.
Lavoro come dirigente in una ditta di autotrasporti in Lombardia: la Damiani e Company Logistic. Mio padre era il padrone della compagnia di Morganti Autotrasporti, beneficiario della ditta dove sono. Vivo da sola, ho questo appartamento in Brera, nel cuore di Milano.
Mi butto sotto la doccia e mi insapono. Passandomi la mano tra i capelli mi ricordo che dovrei spuntarli nonostante abbia un taglio medio corto.
Per andare a lavoro indosso un paio di pantaloni di nylon beige, una maglietta chiara e dei mocassini. Vestirsi bene è un modo per rispettare se stessi e gli altri, ma esagerare in leccature diventa stucchevole e ridicolo.
Niente profumo, indosso la giacca leggera visto che siamo a maggio e mi dirigo fuori casa.
Entro in ufficio con ritardo; i miei colleghi sono seduti alle loro scrivanie e gli operai stanno caricando dei camion nel piazzale adiacente l’ingresso. Guardo fuori dalla vetrata e in quel momento entra silenziosa Natalia, la segretaria.
-Buongiorno Asia, bentornata! -
-Buongiorno a te, Natalia. - mi volto appena, distratta.
-Ti ho portato le bolle dell’ultima consegna effettuata martedì. Riprendi da qua? -
Le sue parole mi costringono a darle attenzione.
La guardo e intuisco che si intimidisce di fronte al mio sguardo, quindi abbassa gli occhi sui documenti cartacei.
-Sì, ti ringrazio. Senti, mi faresti un favore? Chiameresti da Nico per un appuntamento? Devo tagliare i capelli. -
-Oh, come vuoi tagliarli? -
-Una leggera spuntata. - dico seria.
-D’accordo. Comunque… sono felice di rivederti. -
-Grazie, sei davvero gentile. -
Natalia torna in corridoio, io mi siedo alla scrivania e do un’occhiata alle bolle.
Mi accorgo che di là dal vetro alcuni colleghi mi fissano e parlano. Distolgo lo sguardo e sorrido, è come se potessi leggere nelle loro menti un libro aperto. Penseranno che ci provi con la segretaria o che lei abbia un’attrazione per me. Chissà come ci rimarrebbero se dicessi che probabilmente ho avuto più donne io che tutti loro messi assieme.
Sono le ventuno e ho preso un taxi per dirigermi da Vicky.
Lavora in una galleria d’arte, fa la pittrice e nella sua casa ci sono quadri dappertutto.
Ho sempre pensato che abbia un talento nascosto e represso; nelle sue opere, in quegli schizzi indefiniti vedo qualcosa che va oltre una semplice rappresentazione grafica. C’è sofferenza mista alla paura dell’abbandono.
Arrivo a casa sua e lei apre la porta; indossa una canotta bianca e un paio di pantaloni larghi, i piedi sono nudi.
Vicky non si limita al sorriso ma mi stringe le braccia attorno al collo, baciandomi le labbra.
-Dio, come mi sei mancata! - trema nel mio abbraccio.
-Anche tu. - ribatto priva di sensazioni.
Lei abita in un loft molto grazioso, anche se come ho già detto, esagera troppo con quella roba appesa ovunque; è come se ostentasse il suo mestiere a tutti quelli che vengono a trovarla.
Va in cucina e prende la birra.
-Allora com’è andato il rientro in ufficio? Voglio che mi racconti tutto. -
-Stamani è stata pesante. Un autotrasportatore ha sbagliato con alcune bolle e abbiamo dovuto ricontrollarle una ad una. -
-Oh, che disastro. - si siede sul divano porgendomi la Corona.
Le sorrido e bevo un sorso.
-Stai dipingendo qualcosa? - le chiedo notando le dita macchiate di rosso e blu.
-Stasera no. -
-Dovresti rilassarti un po’, almeno qualche giorno. -
-Lo sai, la pittura è la mia droga. -
Beve anche lei birra, un lungo interminabile sorso.
-Comunque domani sera c’è una mostra niente male in piazza Duomo, è un pittore francese che fa cose veramente assurde.
Ti va di andarci? -
-Oh Vicky, lo sai che non amo le mostre… questi artisti pazzi che non capisci mai cosa vogliano dire in quei disegni. -
C’è un attimo di silenzio, interrotto solo dal tic tac dell’orologio in cucina.
Lei sorride poi mi guarda di nuovo.
-Lo sai che solo con te posso andare a vedere certe cose! - ribatte.
Rido divertita.
Si avvicina a me e mi mette un braccio attorno al collo, io la guardo seria.
Sempre silenziosa sale sopra le mie gambe, sedendosi.
-Che fai? - domando sorridendo.
-Secondo te che faccio, Asia? Ti ho aspettata due interminabili settimane. -
-Be’, ci siamo lasciate un po’ così… -
-Sai bene che non me ne faccio nulla di un amicizia. -
Mi prende la faccia e comincia a baciarmi.
Poso la birra allungando una mano a terra per poi metterla sopra le sue natiche.
Mi sta eccitando e non poco.
Continua a giocare con la mia bocca e la lingua, mentre le mani si spostano sul ventre e solleva la maglia. Io alzo lei e la rigiro con la schiena sul divano e senza perdere altro tempo le sfilo via i pantaloni.
Sorpresa noto che indossa un perizoma bianco.
Mi avvicino e la bacio sul collo, accarezzandole i lunghi capelli chiari. Sento le sue gambe che si stringono attorno ai miei fianchi e il respiro diventa pesante.
Continuo così per qualche minuto poi mi concentro sul perizoma spostandolo di lato.
Inizio a leccarla lentamente sentendola ansimare; le sue mani tra i miei capelli che accarezzano la testa. Gioco un po’ poi la stuzzico fino a penetrarla.
Lei cerca di spogliarmi, ma in questa posizione non può muoversi troppo. Mi sposto un attimo, levo i jeans e tutto il resto e torno di nuovo sopra, in bramosa attesa.
-Non posso ancora credere che tu sia qui. - dice con la bocca contro il mio orecchio.
Accarezzo la sua pelle delicata, che pur non avendo il coraggio di ammetterlo, mi è mancata tantissimo.
La penetro con due dita, lei sospira.
In questi attimi di profonda intimità sento di poter cancellare tutto il resto del mondo. Ogni cosa diventa distante e priva di significato.
-Continua… - mi dice tra i sospiri.
È una cosa che mi fa impazzire sentir godere una donna. Adoro vedere il suo corpo che si contrae dando continui spasmi.
È bella Vicky, i suoi occhi diventano lunghi labirinti dove mi lascio abbandonare fino a perdermi e, nell’istante in cui capisco che posso averla con me per lungo tempo, mi sento vittoriosa. Tutto si annulla, gli schemi logici di una vita fatta da uomo e donna si annientano. In questi momenti non esistono regole, non esistono pudori e non esistono pregiudizi. Siamo due donne che si scambiano piacere.
Vicky continua con la lingua a giocare sull’orecchio, poi la sento sussurrare: -Sto venendo… -
Un secondo dopo stringe le gambe tremando, spingendomi contro e lasciandosi andare a un gemito liberatorio.
Si aggrappa con le mani alla mia schiena e al collo, mirando sempre ai baci. Trema, dà uno scossone e si irrigidisce qualche secondo, per poi tornare a rilassarsi e restare così, immobile
e col fiatone. Rimango ancora sopra di lei tenendola tra le
mie braccia. Il suo respiro si calma e io mi rilasso, con le cosce bagnate di umori. Si sposta i capelli dalla faccia e si lecca le labbra, sorridendo.
-Sei fantastica. - dice con un filo di voce.

Sono le dieci passate di sabato sera.
Mi trovo al Rha Bar, uno dei locali esclusivi di Milano.
Siedo con Vanessa, Daniela e Luca, unico maschio effeminato al tavolo.
Controllo l’orologio, Vicky oggi mi ha chiamato tre volte ma non le ho risposto.
La mia attenzione stasera è rivolta, si fa per dire, alla massa di donne che tentano di rimorchiare vagando nel locale. Non le sopporto proprio ma mi diverto ad osservarle.
Una di loro mi passa accanto, pare abbastanza grassa da avvertire il pavimento che vibra ma ovviamente è solo la mia impressione perché la musica è alta da coprire il resto.
Bevo un Cuba Libre e mi rilasso ascoltando le mie amiche che parlano di una ragazza che è stata mollata dalla fidanzata due giorni prima. Annuisco e sorrido perché queste situazioni le ho sentite così tante volte da sembrare sempre la stessa menata. Questa che è stata mollata da quella perché ha conosciuto l’amica di quest’altra e bla bla bla. Che noia.
-Queste storie vanno sempre così. - interrompo io.
Le altre si voltano a guardarmi. Vanessa ha i capelli rasati, è un po’ robusta e mascolina ma simpaticissima, Daniela è longilinea e semplice ma fissata con la dieta e Luca è una checca firmata dalla testa ai piedi.
-Cioè? - riprende Daniela guardandomi.
-Dico che queste storie finiscono sempre così, fin quando due donne assieme non troveranno un punto di appoggio l’una con l’altra. Voglio dire, viviamo nell’ombra, noi per la gente là fuori siamo ombre. - indico con la mano la città vista dal vetro.
-Dobbiamo diventare sensibili a questo problema, dobbiamo imporci di essere mature e saper vedere oltre la solita birra e la prossima scopata. E dobbiamo finirla con questo gay pride, è solo una pagliacciata. -
C’è un attimo di silenzio poi Luca sbotta:
-Perché il gay pride è una pagliacciata? Noi incoraggiamo i diritti delle coppie di fatto, vogliamo essere uguali agli altri. -
-Non così Luca, non facendo questa carnevalata. Se davvero vogliamo che la gente ci accetti dobbiamo far valere i nostri diritti con gli abiti addosso, non mostrando culi e tette alla città, travestiti con parrucche e trucco. Chi ci prenderà mai sul serio? -
C’è un attimo di silenzio generale, Daniela annuisce interessata.
Mi placo, alzo le sopracciglia e mando giù un altro sorso di Cuba.
In quel momento parte il karaoke, una ragazza intona una canzone di Patti Smith e tutti applaudono sorridenti.
-Hai ragione Asia, davvero. Non ci considereranno mai con queste pagliacciate. - riprende Vanessa.
Annuisco e guardo attorno, scannerizzando la sala e le persone al suo interno.
Ci sono attimi di pura estraneità che insorge dentro di me e non so perché. Io sono lì in quel momento ma in realtà non sono da nessuna parte. È difficile spiegarlo.
Arrivano quattro ragazze molto femminili e truccate che si siedono a un tavolo poco distante dal nostro. Daniela le guarda con un sorriso malizioso alzando il mento, io le do una botta sotto al tavolo con il piede ed entrambe ridiamo.
-Dove hai parcheggiato? - mi domanda Vanessa.
-Proprio dietro l’angolo. -
-Adoro la tua auto… -
-Che auto hai? - chiede Luca.
- Ho un Audi TT, nera. -
-Uh, bella macchina. Io però non mi fiderei ad andarci in giro per la città, avrei paura di un dispetto.-
Penso alla mia macchina, parcheggiata dietro l’angolo e al tizio, magari uno zingaro, che si avvicina e con un coltellino riga la portiera fino al cofano con gran soddisfazione. Io mi avvicino, afferro il suo coltellino e glielo passo da uno zigomo all’altro, facendogli un sorriso di sangue che ricorderà a vita.
-Insomma che ve ne pare? Asia ascolti? - ripete Daniela, riportandomi alla realtà.
-Cosa? -
-Le tipe appena arrivate. Secondo te saranno della famiglia? -
Mi volto con noncuranza e le guardo un attimo.
-Hmm, non saprei, forse. -
-Gli chiedo se hanno da accendere. -
Daniela fa per alzarsi ma Luca la blocca per un braccio.
-Non far figure di merda, dai! -
Daniela sbuffa e si rimette seduta.
-Ho voglia di farmi una scopata ragazzi! Che palle! -
-E con questo che intendi? Fare la radiografia a tutte le donne del locale? - rido.
-No, però quella biondina mi piace. - ribatte alzando il mento in direzione del gruppo. -Che male c’è a volerla conoscere? -
-Ma così sembri un’assatanata! - riprende Vanessa un po’ incredula.
Io e Luca ridiamo di gusto.
-Non è mica tanto facile conoscere donne fuori da certi ambienti. C’è il rischio di beccarsi un ceffone. - riprende Daniela.
La guardo interessata.
-Dici davvero? - chiedo.
-Sì, Asia. Insomma lo sapete tutti che il modo più facile e sicuro per rimorchiare è andare in questi locali. Il rischio di beccarsi un no è basso. -
-Non è detto che siano tutte carine e disponibili però. - continua Luca.
-Io sono andata in bianco diverse volte Daniela, - sbotta Vanessa d’un fiato -non credere che sia così scontato rimorchiare nei locali gay o comunque locali gay friendly. -
-No, ovviamente. Però mi sento più sicura, ecco. -
-Be’, non deve essere così scontato, - intervengo io -altrimenti è un po’ come andare a puttane. -
-A colpo sicuro. - Luca strizza l’occhio.
Daniela mi guarda seria.
-Asia, tu dici così perché hai avuto ben altri giri oltre ai locali gay. Donne attorno ne avevi, questo è poco ma sicuro. -
-Non erano tutte lesbiche, tesoro. - alzo il bicchiere e bevo.
Vanessa si volta verso una ragazza e si scambiano un paio di sguardi piuttosto compiaciuti.
-Ho una leggera fame. - riprendo dopo l’ultimo sorso di Cuba.
-Non hai cenato? - chiede Vanessa.
-Sì, una pizza da Mistic, ma faceva schifo. Ero con un collega di lavoro. -
-E dove l’hai scaricato? - ribatte incuriosita Daniela.
-A casa, stop. Ci siamo visti per mettere a punto alcune cose della ditta. Niente di interessante. -
La ragazza al karaoke smette, gli applaudono e io neanche ho sentito la canzone.
Prende il posto un ragazzo poco più che ventenne e inizia con un motivo di Phil Collins.
-Ottima scelta. - dico a voce alta, alzando il pollice. Adoro Phil Collins, le sue canzoni sono un colpo al cuore e all’anima.
Noto delle donne, piuttosto mascoline che mi fissano insistentemente. Faccio cenno con la testa a Vanessa e lei ridacchia divertita.
-Te la immagini a letto quella? Chissà quale vibratore usa! - scoppia a ridere divertita.
-Oddio Vanessa, sei incredibile! - rido.
-No no, davvero! Insomma dai, ti fissa interessata. Sfoggiale il tuo fascino. -
-Non andrei mai con una così. Insomma che me ne faccio di una tipa come quella, vestita da uomo, atteggiamento idem e magari a letto usa pure lo strap -on? Allora vado con un uomo che è uguale! -
-Lo so, a te piacciono le fighette col bel culetto. - riprende Daniela.
-Oddio sei incorreggibile! - rido -Lo sai che a me piacciono le donne femminili. -
-Io credo che anche una donna mascolina abbia il suo fascino. - continua Luca.
-Non lo metto in dubbio, - riprendo -ma siccome io sono già abbastanza androgina preferisco avere accanto una ragazza femminile e per femminilità non intendo una tipa che se la tira o mostra il culo a tutti. -
-Vorrei intavolare un altro discorso, visto che siamo in argomento. - ribatte Vanessa alzando il dito indice.
Ci voltiamo verso di lei.
Prende fiato e sbotta: -Le donne lesbiche, e intendo la vera lesbica che non va con uomini, è mascolina? Insomma, io mi guardo allo specchio al mattino e mi dico che potrei essere più femminile di quella che sono, ma in realtà non mi interessa mettermi la gonna o i tacchi alti. Riesco a essere me stessa con jeans e scarpe sportive. Non lo faccio per sentirmi uomo, assolutamente. Eppure mi pare che la maggior parte delle donne lesbiche siano così, dei maschi mancati. -
-Cazzo dici, Vanessa? - ribatto seria -Mica tutte le donne lesbiche sono maschi mancati. Certo, ci sono donne che non accettano di essere omosessuali per paura dei pregiudizi o per mancanza di autostima ma questo è un altro paio di maniche. -
-Perché non sono più femminili allora? - continua Luca.
-Non lo so, - continuo -questo dovreste chiederlo a loro. Come Vanessa magari si sentono più a loro agio mettendosi un paio di pantaloni anziché la gonna. Guarda me ad esempio; stasera sono vestita con i pantaloni, ma io indosso pantaloni femminili e scarpe col tacco basso, non a spillo. -
-Sei vestita tutta Hugo Boss! - ride Daniela.
-Lo adoro, ma non ostento. -
-Grazie a Dio le cose stanno cambiando. Le donne cominciano ad avere più potere in molti aspetti. - finisce Vanessa.
Annuisco e mi guardo attorno. Penso che in quel momento vorrei mi comparisse davanti una donna elegante e mi portasse via. Sorrido.

Lunedì mattina in ufficio.
Sono appena le nove e mezza e già non mi reggo in piedi.
La sera prima ho bevuto un po’ troppo in un locale con la mia amica Clarissa e altre due tipe di cui non ricordo il nome.
Per non parlare poi della serata antecedente al Rha Bar.
Natalia entra sorridendo.
-Ti ho prenotato il parrucchiere domani pomeriggio, alle quattro. Va bene? -
-Oh, sei un tesoro. Me ne ero dimenticata. -
-Un caffè? -
-No, grazie. Spero di finire presto oggi, sono stanchissima. -
-È solo lunedì… - sorride lei.
-Lo so. - ricambio il sorriso. -Stupida, ammettilo che tieni alla mia salute! - rido.
Lei ricambia la risata con fare timido poi richiude cauta la porta e si allontana in corridoio.
Prendo il cellulare sulla scrivania e compongo il numero di Vicky, sicura che non risponda.
Invece dopo tre squilli…
-Ciao. - La voce è seccata.
-Ciao Vicky, come stai? -
-Bene, ma potrei stare meglio Asia, soprattutto se ti degnassi di rispondere alle mie chiamate. -
-Scusami tesoro, ho avuto da fare, credimi. -
-Ci tenevo ad andare con te a quella mostra, invece l’ho vista da sola. Potevi avvertirmi, cazzo! -
-Vicky, te l’ho detto che non amo molto l’arte, a parte i tuoi quadri. -
C’è un attimo di silenzio poi la sento sospirare.
-Sei in ufficio? -
-Sì, dovrei uscire all’una. -
-Ok, io adesso ho da fare, ci sentiamo ok? -
-Oh, uhm, ascolta Vicky… - Le parole si strozzano in gola.
-Sì? -
-Vieni a cena con me stasera, dai. -
-Non mi va di andare a cena. Non mi piacciono i posti snob, lo sai. -
Rido.
- E chi ti ha detto che sono posti snob dove vorrei portarti? -
-Non lo so, me lo immagino. - ribatte.
-Ti passo a prendere alle otto, pittrice. Fatti trovare. -
Un altro attimo di silenzio, poi si schiarisce la voce.
-Non lo so… -
-Ti porto in un bel posticino. -
-D’accordo, alle otto. -
Chiudo la comunicazione con un sorriso e mi alzo andando verso la finestra; un grosso camion sta lasciando la piazza per una consegna all’estero.
Natalia entra di nuovo silenziosa e avverto appena la porta che si apre e si chiude.
Mi volto sorpresa e mi pare di scorgere nei suoi occhi qualcosa di malizioso.
-Asia, ricordi che alle tre hai appuntamento con Giancarlo? -
Alzo le spalle e traggo un respiro.
-Mi ero dimenticata anche questo. - rispondo abbassando lo sguardo ai suoi piedi.
-Ti ha innervosito? Mi dispiace. - replica restando immobile.
-No, è che non mi va di vedermi con lui se non c'è Damiani. Avrà voglia di sputare sentenze sui collegamenti esteri. Non voglio sorbirmi le sue cazzate. -
Mi rimetto alla scrivania e apro l'agendina, sfogliandola distratta.
-Se vuoi lo annullo. - continua avvicinandosi.
-No, no, ti ringrazio. Ci andrò, ma spero di sciropparmelo solo per mezz'ora, altrimenti taglio la corda. - sbuffo.
-Se hai bisogno chiamami, sono nella stanza accanto. -
Alzo gli occhi e sorrido.
-Mi porteresti una Perrier? -
Sono uscita da lavoro alle quattro e mezza e ne ho approfittato per andare al parco a correre un’oretta. Tornata a casa mi sono allenata con i pesi, dopodiché mi sono buttata in doccia. Sono rimasta in accappatoio e in quel momento il cellulare ha squillato.
Era Natalia e ho pensato che ci fossero problemi al lavoro, invece voleva sapere come stavo, dato che prima di uscire mi aveva vista piuttosto stanca. Le ho detto di stare molto meglio e l’ho ringraziata per avermi chiamato.
So che Natalia lo ha fatto per sentirmi. Avvertivo nella sua voce che voleva dirmi qualcos’altro ma non ha continuato e mi ha salutato dicendomi Ci vediamo domattina.
Mi fa tenerezza, è una ragazza così carina.


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